Si ok..ma quindi?!
Suvvia, la crescita e lo sviluppo del bambino sono obiettivi che tutte le scuole e tutte le educatrici e gli educatori si prefiggono, differentemente nemmeno dovremmo catalogarla e definirla come scuola.Tuttavia, i metodi di insegnamento adottati dalla maggior parte degli insegnanti non fanno che assicurare la dipendenza; non è che gli insegnanti vogliano davvero degli alunni irresponsabili e dipendenti, il fatto è che nessuno ha insegnato loro le tecniche ed i metodi per promuovere l’autonomia. Ad esempio e’ più comodo dare la pappa al bambino imboccandolo piuttosto che lasciandolo fare da solo. Nel primo caso il bambino si sporcherebbe solo le labbra, nel secondo ovviamente ci sarebbe il “finimondo” intorno a lui. Il secondo percorso indiscutibilmente sarebbe più dispendioso di tempo ma porterebbe ad un risultato decisamente migliore: l’autonomia. Nel nostro approccio, l’educazione viene vissuta fondamentalmente come un processo autogestito.Maria Montessori spiega alla perfezione questo concetto con la frase “aiutami a fare da solo”. E’ dunque più importante che l’educatore impari a non disturbare ed a non ostacolare il processo di maturazione autogestito. Perchè intervenire dove il bambino può riuscire da solo? Un bambino, una bambina, avrà un’ intera vita per utilizzare un pentolino nel modo corretto. Nella sua disarmante semplicità, questa logica implica un radicale mutamento del contesto scolastico:L’insegnante, l’educatrice non è più colei che trasferisce il suo sapere ma colei che sperimenta il suo sapere insieme ai suoi alunni, basandosi sempre sui tempi recettivo- cognitivi del bambino. Dunque, si tratta di un cambiamento sistemico che ipotizza una profonda evoluzione personale nell’educatore; spetta a lui, quindi, il non facile compito di entrare nel privato mondo percettivo dell’altro e di starci comodo, è dunque ragionevole fermarsi a valutare ogni singolo momento per stabilire se è adatto al bambino che abbiamo in fronte. La comprensione empatica incrementa il senso di appartenenza e l’ apertura al sociale, sviluppando una forma molto efficace di connessione interpersonale. L’empatia è alla base dei pilastri fondamentali per essere un buon educatore. Ma cos’è allora che rende diverso l’insegnamento che funziona da quello che fallisce?e cosa l’insegnamento che procura soddisfazioni da quello che invece provoca solo stress? È determinante la qualità del rapporto; torniamo dunque ancora una volta all’empatia. Quando un educatore diventa esperto nell’uso di metodi non coercitivi per ottenere la disciplina e l’ordine scopre l’uso di un linguaggio, di una terminologia tutta nuova. Per esempio quando al posto che urlare per richiamare l’attenzione si impara ad abbassare il tono della voce ed a interpellare la curiosità del bambino . Nelle nostre strutture è fondamentale la complicità dell’equipe lavorativa ; per poter svolgere con efficacia un’azione educativa sui bambini occorre anzitutto conoscerli, conoscere soprattutto le loro capacità percettive e cognitive. Ogni esperienza, ogni occasione di gioco, l’organizzazione del lavoro, dei tempi, degli ambienti, degli spazi e degli arredi sono il frutto di un progetto educativo pensato e condiviso da tutto il personale. All’interno de Il Mio Nido, ogni educatrice, ogni educatore rappresenta l’adulto significativo per un gruppo di bambini e bambine. L’Educatrice Imperfetta e Il Mio Nido si propongono per svolgere un ruolo attivo per la piena affermazione del significato e del valore dell’infanzia secondo i principi di uguaglianza e pari opportunità, rispetto alla diversità ed alla libertà. Si, ogni equipe dovrebbe avere questi principi. E’ quello che siamo, che studiamo e la programmazione educativa che garantiscono la qualità del nido; quest’ultima deve essere costruita intorno al bambino inteso come individuo sociale competente e protagonista della propria esperienza; la programmazione consiste nell’elaborazione degli interventi in funzione delle esigenze di ciascun bambino .